CULTURA ORIENTALE E PSICOLOGIA
CULTURA ORIENTALE E PSICOLOGIA
«Vedere un bocciolo di rosa all’alba, bagnato da una goccia di rugiada, mentre l’aria è ancora fresca, il sole sta nascendo e un uccello canta è un’esperienza che in alcune culture (per esempio, in quella giapponese) si presta facilmente a essere avvertita in modo consapevole, mentre nella moderna cultura occidentale solitamente non affiora alla consapevolezza perché non è sufficientemente importante o memorabile per essere presa in considerazione.» (Erich Fromm)
Esistono
esperienze per le quali alcune lingue sono ricche di termini per esprimerle,
mentre altre non possiedono neppure una parola corrispondente. E’ ovvio come
culturalmente ci siano delle profonde differenze tra il mondo occidentale e
quello orientale.
Tuttavia, esiste una dimensione in cui le
due realtà si possono incontrare: la psicologia.
La
psicologia, a partire da Freud, considera la dimensione cosciente soltanto una parte
del processo psichico: c’è altro, l’inconscio. L’Oriente aveva già esplorato a fondo
l’inconscio e i processi della psiche. Diverse tecniche che attualmente si
utilizzano in ambito psicologico affondano infatti le radici nelle antiche pratiche
orientali (basti pensare alla mindfulness, letteralmente “consapevolezza”, che ha
alla base principi della meditazione buddihista Vipassana).
L’Organizzazione
Mondiale della Sanità definisce la salute come una condizione di benessere totale:
fisico, mentale, sociale e spirituale; la salute non consiste dunque soltanto
nell’assenza di malattia. La filosofia orientale può essere intesa in questo
senso come “psicologia”, in quanto orientata al benessere.
Esempi di questo “orientamento al benessere” possono essere costituiti dal costante dialogo tra mente e corpo nelle pratiche orientali e dal pensiero della filosofia buddhista rispetto alle emozioni. Esattamente come la psicologia occidentale, la filosofia buddhista sottolinea l’importanza di riconoscere ed elaborare le emozioni negative (chiamate “afflizioni mentali”, in quanto fonte di sofferenza); le emozioni negative non sono “cattive”, lo diventano se si tenta di soffocarle. La filosofia buddhista invita a sviluppare questo preziosissimo pensiero: “a cosa mi serve questa emozione?”.
Perché siamo così affascinati dal pensiero orientale
Il pensiero orientale aiuta a trovare una risposta agli interrogativi
sull’esistenza. La società occidentale oggi propone il dominio dell’avere sull’essere
e richiede costantemente di essere performanti, tendendo quasi alla perfezione.
Questo può portare a vivere con sofferenza e infelicità la dicotomia tra le
aspirazioni personali e le aspirazioni della società, tra la realtà quotidiana (conscio)
e la propria autenticità (inconscio).
Viviamo sempre nel futuro pianificando o preoccupandoci, o nel passato, ricordando o deformandolo. Nelle società occidentali fermarsi è un atto radicale, di saggezza e compassione verso se stessi.
Jung e l'Oriente
Jung ha ricoperto un ruolo fondamentale
nello studio del pensiero orientale, dandone un’interpretazione in ottica psicologica.
La conquista spirituale dell’Oriente e il suo simbolismo sono per Jung
preziosissimi. Celebre lo scritto “La
saggezza orientale” (1983), decisamente affascinante “La psicologia del Kundalini
yoga” (1932).
L’interesse di Jung per lo yoga non è in
senso religioso, ma come psicologia: lo yoga è visto come un ricco deposito di rappresentazioni
simboliche dell’esperienza interiore, in particolare di quelle che Jung definisce
archetipi. Si tratta di immagini originarie, comuni a tutti i popoli in tutti i
tempi, una memoria dell’umanità che fa parte dell’inconscio collettivo
(un esempio è il mandala).
Con estremo rispetto verso il valore della saggezza orientale, Jung sottolinea con prudenza l’enorme distanza tra il mondo occidentale e quello orientale. A proposito del suo viaggio in India del 1938, egli infatti scrive: “come europeo, non posso prendere nulla in prestito dall’Oriente, ma devo plasmare la mia vita da me stesso, secondo quanto mi suggerisce il mio intimo o mi apporta la natura.»
Jung
sottolinea la necessità di fare attenzione nell’avvicinarsi a pratiche antiche
nate in contesti ed epoche molto diversi, per non correre il rischio di
travisare lo spirito di tecniche millenarie. Ogni imitazione o semplificazione di
pratiche orientali è contraria al pensiero junghiano.
Quello che Jung evidenzia è che la disposizione psicologica dell’occidentale è completamente diversa da quella dell’orientale. L’atteggiamento critico riguarda l’uso di pratiche orientali come lo yoga da parte dell’occidentale in modi che ne alterano la sua essenza più profonda (come semplice attività fisica o per moda). “Ci sono molti tipi di yoga e gli europei spesso ne rimangono ipnotizzati. Ma lo yoga è essenzialmente orientale [...]. Un europeo lo può soltanto imitare”. Che si sia d’accordo o meno con questa riflessione di Jung, un suo pensiero resta ancora oggi estremamente vero:
“l’indiano non può dimenticare né il corpo né lo spirito; l’europeo dimentica sempre o l’uno o l’altro.»
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